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al testo di Amina Narimi
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Era piena di grida la casa più non vinceva la luce il peso della morte necessaria
C'è un senso di larghezza dolorosa
Mi sono presa cura della casa, del male incognito da dissodare dentro, facendo uscire i nostri corpi dalle porte per camminare là dagli alberi, dove c’è conciliazione ancora vergine, colmando di riguardo e riverenza dinnanzi a quel che è più di noi qualcosa, l'anima
Il ritrarmi tra due innamorati, reclinare il capo tra la ginza e il tiglio nella grazia concessa a chi dona un inchino, è pietà che mi lega nella loro dimora è religione d'antica eusebeia- che fa spazio all'incontro;
è lì che mi chiedo che cosa prego i miei alberi di sapere morire
Ritorna l’anima ai muri, ritorno io simile a un albero, nel pieno di una fiamma, il ventre nudo.
Entra svuotata e gravida di luce nel peso di una vita la dolcezza ritrova quella mano per tenerti come un viaggio infinito tra le ombre.
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